
Tiberio Pansini
Tiberio Pansini: un soldato della libertà
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani…”
P. Calamandrei
Tiberio Pansini nacque a Milano il 30 luglio del 1917 da Giovanni, molfettese, e Amelia Somaini. Visse, praticamente tutta la sua esistenza, sotto la dittatura fascista, nel ventennio più nefasto della storia d’Italia. Visse sotto un regime che annientò qualsiasi forma di libera espressione, cancellando i diritti fondamentali dell’individuo e schiacciando lo Stato di diritto. Il fascismo nutrì una fame di potere assoluto nei confronti delle donne e degli uomini del nostro Paese, e non solo. Nell’opporsi si rischiava il confino, il carcere, la vita.
Ciononostante, Tiberio, seguendo le orme del padre Giovanni, repubblicano e acerrimo antifascista, iniziò giovinetto a dare il suo contributo nella lotta contro la terribile dittatura.
Dal 1932 al 1936, mentre il padre Giovanni scontava il confino a Ponza, si recò molte volte a trovarlo, finendo per fungere, in giovanissima età, da corriere per i confinati. Tiberio, dunque, sperimentò sin da subito la crudeltà del regime. Nulla, però, scalfirà il suo animo e mai si mostrerà remissivo nella lotta.
Conseguita la maturità classica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, laureandosi a novembre del 1942. Negli anni universitari continuò il suo impegno, partecipando alle attività clandestine dei movimenti studenteschi antifascisti. Finì arrestato a Milano, sul finire del 1939, per aver partecipato ad una manifestazione contro l’invasione della Polonia da parte delle truppe naziste.
Da aprile ad agosto del 1943, frequentò la Scuola Militare di Sanità a Firenze, congedandosi con il grado di sottotenente medico. L’8 settembre 1943 lo trovò in licenza, in attesa di nomina. Le successive chiamate alle armi lo lasceranno indifferente.
Fu tra i primi ad organizzare il movimento della Resistenza in provincia di Como, sin dagli inizi del 1944, aderendo al gruppo dei fratelli Clerici fino a quando, arrestati quasi tutti i componenti e fucilato Luigi Clerici, fu condannato a morte in contumacia con il suo nome di battaglia: “dottor Rossi”.
Successivamente Tiberio partecipò alla Resistenza fra le file delle brigate “Garibaldi”. Per tutto il 1944 fu un
continuo susseguirsi di azioni di attacco da parte dei partigiani e rastrellamenti delle forze nazi-fasciste che spesso
non risparmiavano i civili. Fra il settembre e l’ottobre del 1944, con la riorganizzazione del movimento partigiano in
Lombardia, fu nominato ispettore regionale e vice-commissario politico del “Comando di Raggruppamento Divisioni
Garibaldine Lombarde” operanti nel territorio della provincia di Como, di Sondrio e nel nord-ovest bergamasco. Alle
dipendenze di tale comando vi erano due divisioni, ognuna delle quali constava di tre brigate.
Una di queste, la 52a brigata “Clerici”, sarà protagonista dell’arresto a Dongo, il 27 aprile del 1945, di Benito
Mussolini e di gerarchi e funzionari fascisti.
Da quando, ai primi di giugno del 1944, gli Alleati erano entrati a Roma proseguendo la loro risalita della Penisola, le forze nazi-fasciste avevano continuato a concentrarsi e riorganizzarsi nel Nord-Italia. In questo scenario, il nord della Lombardia, e la Valtellina in modo particolare, andò via via assumendo un significato strategico per le ultime speranze di conservare il potere da parte dei gerarchi fascisti, tanto da far teorizzare la nascita del cosiddetto “Ridotto alpino della Valtellina” quale ultimo baluardo e roccaforte del fascismo.
Fra il novembre e il dicembre del 1944, le truppe nazi-fasciste si resero responsabili di feroci rastrellamenti concentrici in tutta l’area di Bergamo e della Valtellina. Nei combattimenti persero la vita decine di partigiani, molti fucilati in esecuzioni sommarie. La conseguenza fu lo scioglimento delle Brigate Garibaldi operanti nel nord della Lombardia e lo sconfinamento in Svizzera di gran parte dei sopravvissuti. Tiberio si rifiutò di sconfinare e ritornò a Milano.
Continuò sempre a lottare, nonostante i rischi per la propria incolumità, nonostante la lunga scia di sangue che la Resistenza al fascismo lasciava dietro di sé. Ai primi del 1945 si mise nuovamente all’opera per riorganizzare il movimento della Resistenza nel nord della Lombardia. Durante i primi mesi del 1945, come durante tutta la sua attività partigiana, Tiberio, da ispettore, fu artefice di un proficuo e costante collegamento fra le formazioni operanti nelle valli e i comandi superiori del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) attivi a Milano.
Il 25 marzo 1945, durante uno dei suoi viaggi per incontrare le formazioni che nuovamente si andavano organizzando in Valtellina, fu arrestato a Castione Andevenno, nei pressi di Sondrio, da alcuni militi delle Brigate Nere della 3a Legione Confinaria.
Le Brigate Nere lo torturano a morte, abbandonano il suo cadavere in un bosco nei dintorni di Sondrio, cercando di inscenare uno scontro a fuoco a seguito di un tentativo di fuga.
Prima di essere ucciso, Pansini condivide la breve prigionia con Ginetta Moroni, una giovane milanese impegnata nell’espatrio in Svizzera di ebrei e antifascisti come lei, che lo ricorderà nel suo successivo impegno nella difesa dei diritti umani con Amnesty International.